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Una Nave chiamata carcere, dove la ciurma gioca a rugby

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Dipendenze da droghe che hanno portato a pene da scontare, giorni che diventano mesi a volte anni per raddrizzare il corso di vite storte e di persone che - anche dietro le sbarre del carcere - vogliono tornare a guardare al futuro con positività. Succede nel carcere di San Vittore, in quello di Bollate e nel Minorile Beccaria, dove educatori del sociale e allenatori di rugby (ma non solo loro) lavorano a braccetto nel reparto La Nave, una sfida nata all’interno del carcere di San Vittore dall’idea di traghettare verso l’esterno chi sta scontando una pena in carcere facendo perno su sport e lavoro di squadra per trasmettere quei valori che aiutano a farcela nella vita.

Un progetto gestito da ormai 16 anni da ASST Santi Paolo e Carlo e diretto da Graziella Bertelli, che da due anni vede coinvolta in prima fila Rugby Milano, salita a bordo de La Nave con i coach e i responsabili di categoria che al Curioni allenano Under 14 e Under 16, Giovanni Tanca e Roberto Fossati scesi in campo tra le mura delle tre carceri con il cuore in mano.

Di questi due anni di vita fra le mura dei tre penitenziari milanesi con la palla ovale in mano, e del tanto che il progetto La Nave ha messo in circolo, parla la mostra fotografica “In Transito. Un Porto a San Vittore” allestita alla Triennale di Milano nell’ambito della rassegna “Ti porto in carcere” dal 14 dicembre al 20 gennaio. Gli scatti, tutti in bianco e nero a riflettere l’essenzialità delle celle e della vita del carcere, sono di Nanni Fontana. Una sessantina i detenuti immortalati fra italiani, albanesi, marocchini, serbi, sudamericani e filippini, tutti in attesa di giudizio, e mostrati nella quotidianità della loro vita fra i corridoi angusti del carcere, alle riunioni di gruppo o in cerchio attorno alla palla ovale prima dell’inizio di una partita.

Le foto ce li mostrano nei diversi momenti della giornata, scandite dagli orari, dalle ore di lezione dove si parla e si fa di tutto: educazione alla legalità, tempo genitori e figli, coro, letture e tanto sano sport – oltre al rugby i detenuti de La Nave fanno anche yoga e calcio – video box (ogni ospite davanti a una telecamera parla di sé e dei suoi pensieri) e persino il lavoro su un giornale autoprodotto dai ragazzi detenuti del reparto, L’Oblò.

Un percorso formativo che richiede impegno e partecipazione. Non ci sono sconti per nessuno.

«Il rugby che facciamo qui dentro», spiega Giovanni Tanca responsabile degli Under 14 di Rugby Milano, «serve a far dimenticare che esistono delle mura che separano noi e loro, ma soprattutto a creare uno spirito di squadra, in modo che ognuno cooperi e anche i nuovi arrivati o i più fragili non si sentano pecorelle smarrite. Il turn over è continuo. Lavoriamo con 20 ragazzi e gli orari del carcere, le sbarre che si chiudono e si aprono e i momenti di libertà sono ormai condivisi».

L’obiettivo dichiarato de La Nave e di Asr, come quello che ha voluto trasmettere il fotografo Nanni Fontana con il suo lavoro tra le mura di San Vittore, è d’altronde la capacità di sviluppare solidarietà e reciproco aiuto fra i ragazzi del Ronin - questo il nome della squadra allenata da Asr - che in giapponese indica chi prova a diventare un samurai.

«In carcere tutto si complica», spiega Tanca. «Alleniamo tutti i sabati, tra passaggi obbligati fra gli agenti, accessi blindati e formalità da rispettare, entrare in campo e giocare davvero è sempre una conquista. Liberatoria».

In alto i cuori e tanto emozioni da buttar in campo, per tutti: rugbisti e allenatori che da fuori portano dentro la casa circondariale di San Vittore sane boccate di vita. «Fa effetto vederli mettersi in gioco», aggiunge ancora Giovanni Tanca. «Molte di queste persone non hanno avuto esempi positivi nella vita e il rugby, ma ancor più il rapporto costante che abbiamo con loro li aiuta a tirar fuori la parte di migliore di sé e ad acquisire consapevolezza del cammino fatto o da fare».

Altro carcere, altri detenuti ma vissuti analoghi, anche che se le pene detentive in media sono più lunghe, a Bollate, dove a trasmettere i valori del rugby e preparare I Barbari di Bollate – questo il nome della squadra in cui la mixitè culturale è la base del tutto - è Federico Pozzi, responsabile educatore su Bollate e dei progetti sociali Asr, con alcuni dei Bislunghi  (gli old di Asr). Lo spirito con cui stare al fianco dei detenuti è sempre quello: dare una spinta al cambiamento attraverso la pratica di uno sport come il rugby, distillatore di sani valori. «Alleniamo I Barbari tutti i lunedì da sei anni e per i “ragazzi”, che vanno dai 18 ai 50 anni, siamo ormai una famiglia, un punto di riferimento su cui contare», spiega Federico Pozzi. «Stesso rapporto con assistenti sociali e agenti, che vedono i frutti della nostra presenza fra le mura di Bollate dove i detenuti escono per lavorare con orari e celle meno “blindate”, ma che resta sempre un carcere». Al contrario di San Vittore, dove si gioca con le flag e non si arriva al placcaggio per mancanza di un vero e proprio campo, a Bollate il campo c’è e non si simulano i placcaggi. I Barbari hanno anche un loro micro campionato: tre partite dentro il carcere contro una rappresentativa dell’Asr cadetti, o della serie A o dei Bislunghi, e l’ attesissima partita a giugno al centro sportivo G.B Curioni con il sostegno delle famiglie, vitali per chi vive 365 giorni all’anno lontano dai propri affetti.

Legare i valori del rugby ai valori della vita di queste persone - che hanno diritto a riscattarsi - resta la mission  a San Vittore, al Beccaria come a Bollate.

Per capire l’importanza di questi progetti sociali , vale la pena andare in Triennale alla mostra “In Transito. Un Porto a San Vittore”. Tra le foto dedicate al rugby cercate quella di un cerchio magico, carico di potenza e speranza, quella dei Ronin. Parte di quella forza arriva dall’impegno dei volontari, a loro la dedichiamo simbolicamente. Ci siamo presi un impegno che, va ricordato, chiede sempre nuove energie e volontari per giocare, allenare e buttare la palla ovale oltre ai muri detentivi; un impegno che ha bisogno di te: grazie! 

 

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